La riforma del welfare e la condizione femminile dalla Commissione Onofri alle Missioni del PNRR.
Dopo 24 anni restano antiche criticità per la riforma del welfare a sostegno del lavoro femminile.
di Barbara Balistreri
I limiti del nostro sistema welfare e le politiche assistenziali
Condizione del lavoro femminile e riforma del welfare sono state, fino a poco tempo fa, due questioni separate sia sul piano della riflessione che sul piano politico. Lo sviluppo delle politiche di conciliazione è stato fortemente supportato dall’Unione Europea che aveva già individuato nelle carenze di welfare uno dei limiti principali che condizionano il raggiungimento delle pari opportunità di genere nella nostra società, che anziché individuare nell’ambito delle politiche di welfare una maggiore attenzione allo sviluppo dei servizi ed infrastrutture utili al raggiungimento delle pari opportunità di genere si è concentrata sostanzialmente sul tema dell’assistenza e, solo di recente, al sostegno delle famiglie, quindi delle donne.
Tematiche già chiare ed ampiamente discusse dalla Commissione Onofri nel 1997 la “Commissione per l’analisi delle compatibilità macroeconomiche della spesa sociale” che venne istituita per analizzare l’inadeguatezza del welfare italiano rispetto alle esperienze europee con l’obiettivo di proporre un progetto organico di riforma per lo sviluppo delle politiche sociali e la questione delle pari opportunità attraverso la conciliazione tra responsabilità di cura e partecipazione delle donne al mercato del lavoro, criticità oggi purtroppo ancora attuali.
Negli ultimi decenni le politiche di welfare si sono caratterizzate come politiche di natura “settoriale” la loro specificità ha fatto sì che l’attenzione e l’azione si concentrasse sul problema specifico di welfare state piuttosto che sui possibili effetti e impatti di tali politiche, che possono essere differenti per donne e uomini, data la diversa condizione nella famiglia, nel mercato del lavoro e nella società. Si tratta di un aspetto particolarmente rilevante quando si parla di politiche di welfare, aspetto che è stato finora poco considerato nel dibattito e che, non a caso, è poco presente anche nel Rapporto della Commissione Onofri.
Le politiche di pari opportunità di genere si sono concentrate essenzialmente sul tema della cura della famiglia (minori, anziani, disabili) in un’ottica di “conciliazione” quindi di partecipazione femminile ridotta e vincolata al mercato del lavoro, senza affrontare l’area delle politiche di welfare che possono avere un impatto particolarmente rilevante sulla parità di genere.
In altri termini, contrariamente a quanto potrebbe apparire, è venuta a mancare una “sinergia” tra politiche di welfare e politiche di pari opportunità di genere.
Il risultato è che l’Italia continua a presentare i più elevati tassi di inattività femminile e tassi di occupazione molto inferiori rispetto a quelli medi europei perché la questione del lavoro femminile è stata tenuta distinta da un ragionamento più complesso sui limiti che il mercato del lavoro italiano mostra da sempre.
L’ultimo rapporto Istat conferma infatti che il problema del mercato del lavoro italiano è prioritariamente quello di una bassa partecipazione ed insufficiente valorizzazione del potenziale di capitale umano della popolazione femminile.
L’analisi delle condizioni di lavoro evidenzia anche una elevata segregazione occupazionale che cresce al crescere dell’età, con un conseguente allargamento dei differenziali salariali fra le generazioni.
La condizione femminile nel mercato del lavoro in Italia è determinata dalla convergenza di tre fattori:
1) Il peso delle responsabilità familiari condiziona l’offerta di lavoro femminile a causa di:
a) inadeguatezza dei servizi ad esse dedicati ed un sistema di welfare che riconosce solo in parte e non sostiene adeguatamente le attività di assistenza sociale svolte all’interno delle famiglie, che continuano ad essere uno dei pilastri fondamentali dello stato sociale italiano;
b) distribuzione asimmetrica dei compiti all’interno delle famiglie;
2) l’offerta di lavoro part-time, ma anche di lavoro precario, temporaneo, occasionale per non parlare di quello sommerso, dove le condizioni di lavoro sono sconvenienti sia sul piano della formazione che di carriera e tutele sociali e previdenziali limitate. Formule di lavoro che rappresentano una forma di segregazione e marginalizzazione dell’occupazione femminile;
3) le donne sono occupate prevalentemente nei settori meno sindacalizzati, quindi con minori tutele e maggiori rischi di povertà, soprattutto se sole e con figli.
Per non parlare poi del tema che in letteratura è chiamato il “dilemma della fecondità”, che pone cioè l’interrogativo se il calo demografico sia imputabile al fatto che le donne facciano meno figli perché lavorano, o se viceversa la denatalità sia una conseguenza dell’inattività femminile.
Si deve partire da una idea di sviluppo sociale che non contempla “l’assunzione forzata” di quote di popolazione a sostegno di un sistema che non può essere totalmente sostenuto da risorse pubbliche, ma che deve trovare una corretta e adeguata relazione con un corrispondente sistema pubblico e privato dei servizi, senza lasciare l’onere alle famiglie (dunque alle donne) di assolvere in autonomia le carenze che ci sono e di creare, sempre in autonomia, un sistema privato di supporto come le baby sitter o le badanti.
Un welfare più equo, dunque, che non si concentri solo sulla “tentata” soluzione dei singoli problemi, ma si ponga la questione dell’impatto che tali soluzioni hanno sulla qualità della vita e sulla “parità” tra uomini e donne, nelle diverse fasi del ciclo di vita.
Si tratta quindi di agire su diversi fronti, sia attraverso politiche generalizzate sul sistema fiscale e di welfare, che attraverso specifiche misure di compensazione e interventi mirati alle donne, soprattutto se con bassi livelli di istruzione e di qualificazione professionale, per sostenerle nel mantenimento dell’occupazione se occupate, nella ricerca di un lavoro se disoccupate, e nell’ingresso (o re-ingresso) nel mercato del lavoro se inattive.
Le politiche di conciliazione devono includere maggiori periodi e orari flessibili di congedi parentali per la cura per i familiari e per chi può la scelta del lavoro in modalità smart working, ma soprattutto servizi di buona qualità e infrastrutture che sono fondamentali per il sostegno alla partecipazione e all’occupazione femminile perché contrastano la disparità di genere.
Il recente PNRR prevede importanti misure per le politiche rivolte alle donne
Prevede interventi su molteplici dimensioni della discriminazione verso le donne e sviluppa con le sue missioni le priorità della strategia nazionale per la parità di genere da affrontare nel prossimo quinquennio. Le articola in un ampio programma volto sia a favorire la partecipazione femminile al mercato del lavoro, direttamente o indirettamente, sia a correggere le asimmetrie che ostacolano le pari opportunità sin dall’età scolastica. Per non mettere in condizione le donne di dover scegliere tra maternità e carriera, sono previste nel PNRR misure di potenziamento del welfare, anche per permettere una più equa distribuzione degli impegni, non solo economici, legati alla genitorialità.
I principali punti in programma sono i seguenti:
- introduzione di nuovi meccanismi di reclutamento nella PA e revisione delle opportunità di promozione alle posizioni dirigenziali di alto livello finalizzate a garantire pari opportunità sia nell’ambito della partecipazione al mercato del lavoro, sia nelle progressioni di carriera;
- previsione di misure dedicate al lavoro agile nella Pubblica amministrazione per un bilanciamento tra vita professionale e vita privata;
- potenziamento e ammodernamento dell’offerta turistica e culturale con l’obiettivo di avere un impatto occupazionale su settori a forte presenza femminile come quello alberghiero, della ristorazione, delle attività culturali;
- definizione di un piano asili nido per avvicinare la percentuale di copertura pari attualmente al 25,5 per cento alla media europea, pari al 33 per cento;
- potenziamento dei servizi educativi dell’infanzia (3-6 anni) ed estensione del tempo pieno a scuola;
- istituzione del Fondo impresa donna con due obiettivi:
- rafforzare misure già esistenti lanciate per supportare l’imprenditoria, come NITO e Smart&Start;
- potenziare il nuovo Fondo per l’imprenditoria femminile, già previsto dalla Legge di Bilancio 2021 ma non ancora operativo;
- definizione di un Sistema nazionale di certificazione della parità di genere per incentivare le imprese ad adottare policy adeguate a ridurre il divario di genere;
- valorizzazione delle infrastrutture sociali e creazione di percorsi di autonomia per disabili previsti nella con effetti indiretti sull’occupazione tramite l’alleggerimento del carico di cura non retribuita che grava spesso sulla componente femminile della popolazione;
- il rafforzamento dei servizi di prossimità e di supporto all’assistenza domiciliare.
Speriamo di non ritrovarci tra altri 20 anni a parlare delle criticità che il PNRR non ha risolto!
Barbara Balistreri
Responsabile Nazionale Federazione Donne Sindacato SALP ACAI
Referente Centro Studi Women Welfare Italia
Direttrice della testata "La Tutela del Lavoro"